(AP Photo/Ken Aragaki)
di Corrado Bianchi Porro
Anche ieri è stata un’altra giornata all’insegna della Cina. Non contenta di aver squassato il mercato il giorno avanti, alla svalutazione del 2% dello yuan di martedì, Pechino ha aggiunto una nuova svalutazione questa volta dell’1,6%. E, se non c’è due senza il tre, speriamo che oggi il fenomeno non si ripeta. Non si capisce in verità perché questa manovra scaglionata su due giorni, quando sarebbe stato più logico effettuare il tutto in un solo frangente, senza distillarlo su un arco temporale prolungato.
L’FMI invece ha plaudito alla manovra, come se si trattasse di un adeguamento alla libera fluttuazione del cambio, cosa che per altro non è. A meno di proclamarlo urbi et orbi, così il mercato si adegua, sapendo di avere le mani libere (cosa che per altro nemmeno la BNS fa, perché più o meno discretamente, continua a intervenire nel rapporto eurofranco).
Fatto sta che se Pechino martedì aveva commentato che si trattava di «un’azione unica» che non si sarebbe ripetuta (Paganini non ripete), ieri dopo la nuova replica, i registi sono rimasti taciturni. I mercati hanno patito la seconda svalutazione e ovviamente il clima non è il migliore per attirare investimenti anche se, a medio termine, i costi cinesi sono oggi più convenienti.
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